FEDERICO RAMPINI: DIPLOMAZIA E DEMAGOGIA

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INES TABUSSO
00mercoledì 29 marzo 2006 19:11


LA REPUBBLICA
29 marzo 2006
LA POLEMICA
Diplomazia e demagogia
FEDERICO RAMPINI

NON ci terranno rancore un miliardo e trecento milioni di cinesi: tra loro solo pochi addetti ai lavori sanno quanto ha detto il premier italiano sui «bambini bolliti».
Tuttavia la ferita c´è, riguarda i rapporti tra l´Italia e una superpotenza mondiale, e andava evitata. Berlusconi ha toccato un tema serio che è la memoria storica del comunismo cinese. Lo ha fatto con un po´ di strafalcioni. Tragici episodi di cannibalismo sono stati menzionati non nella Rivoluzione culturale del 1966-75 (come ha detto lui) bensì durante il "Grande Balzo in avanti" del 1958-59, quando il presidente Mao lanciò una industrializzazione forzata delle campagne, distolse i contadini dall´agricoltura per costruire altiforni siderurgici. Quella politica provocò carestie, decine di milioni di morti e ogni sorta di orrori; a dire il vero neanche i più critici fra gli storici occidentali hanno sostenuto che i bambini venissero cotti per trasformarli in concime.
I cinesi oggi sanno che Mao commise degli errori – lo leggono sui manuali di scuola – ma il bilancio delle sue vittime è ancora lacunoso, la ricostruzione delle atrocità non è mai stata accurata. La continuità del regime favorisce i silenzi, l´omertà, le assoluzioni. I dirigenti cinesi non hanno fatto i conti con le pagine oscure del passato perché ne sono gli eredi e non vogliono rimettere in discussione l´infallibilità del partito comunista. La mancanza di democrazia e la "memoria amputata" sono due aspetti dello stesso problema.
Però non stimola la Cina a cambiare in meglio, questa polemica agitata dal palco di un comizio italiano, con toni scomposti e sguaiati. C´è una regola delle democrazie occidentali: anche nelle campagne elettorali, nei momenti più duri dello scontro politico interno, si cerca di non coinvolgere inutilmente i rapporti fra Stati, perché a elezioni concluse le relazioni internazionali sono un patrimonio del paese. L´uso della storia a scopi polemici e di propaganda ostile viene lasciato di solito a Gheddafi e ai suoi simili. Altrove si tende a evitare la mescolanza tra diplomazia e demagogia, tra politica estera e urli da manifestazione. Notando lo stile pacato delle rimostranze ufficiali di Pechino – «i comportamenti dei leader italiani dovrebbero favorire la stabilità e lo sviluppo di relazioni amichevoli tra Cina e Italia» – un osservatore esterno potrebbe chiedersi quale dei due è il paese maturo. Quale è gli Stati Uniti, e quale il Venezuela. Né ci giova un precedente del 2005: l´ultima volta che l´accusa di "cannibalismo" è stata evocata con riferimento alla storia della Cina, è in un fumetto fascista e razzista pubblicato in Giappone. Per quanto le relazioni fra Pechino e Tokyo siano tese, il premier nipponico Koizumi non è mai sceso su quel terreno da fumetto xenofobo, né ha mai adottato il linguaggio del premier italiano.
Il danno inferto all´Italia è aggravato dalla simultanea raffica di polemiche anti-cinesi che hanno allargato la metafora del cannibalismo su un terreno più attuale. Il ministro dell´Economia Tremonti ha rincarato la dose aggiungendo che oggi «Pechino ci mangia vivi», con un´allusione all´avanzata del made in China. Il leghista Calderoli ha detto che «in Cina i bambini li mangiavano per davvero, e ora le loro imprese divorano le nostre con una concorrenza sleale». Chi difende i valori della democrazia? Questo concerto di ostilità tradisce il mercantilismo di un´Italia in declino, che accetta le regole dell´economia globale solo quando giocano in suo favore. Mettere insieme la storia del maoismo e gli interessi dei mobilieri della Brianza o dei padroncini dei calzaturifici, svilisce ancor più la polemica. Se qualche cinese avesse mai pensato di prendere sul serio le parole di Berlusconi, scambiandole per un invito a riesaminare con coraggio il passato, gli attacchi dei luogotenenti rivelano la verità: i principi non c´entrano, è solo un´affannosa caccia di voti che offende le regole del fair play internazionale.
La Cina di oggi è un paese che contiene in sé contraddizioni estreme, anche per ciò che riguarda le condizioni dei bambini. Ci sono minorenni nelle fabbriche-lager; figli di contadini che non finiscono la scuola dell´obbligo; altri bambini invece hanno un futuro di laureati in ingegneria e biologia, competeranno con i migliori talenti del mondo nei mestieri più avanzati. Tutti – proprio tutti, inclusi i figli dei contadini – stanno meglio oggi rispetto ai tempi del Grande Balzo o della Rivoluzione culturale. L´accesso della Cina ai mercati globali, non il comunismo, è stato il vero balzo in avanti che ha consentito a centinaia di milioni di persone di uscire dalla miseria. Chi finge di parlare di diritti umani, e invoca misure protezioniste che precipiterebbero l´economia mondiale nella spirale delle ritorsioni, non prepara un futuro migliore né per i bambini cinesi né per i nostri. La Cina sarà con l´America – forse un giorno più dell´America – la superpotenza economica destinata a plasmare il XXI secolo: è su questo scenario di lungo periodo che bisognerebbe misurare le proprie parole, anche a pochi giorni dal voto.


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