LA TELEVENDITA DELLE TASSE (ALBERTO STATERA)

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INES TABUSSO
00sabato 8 aprile 2006 20:47


LA REPUBBLICA
8 aprile 2006
CONTI PUBBLICI E SPAZZATURA
ALBERTO STATERA

LA CAMPAGNA elettorale più spazzatura che si ricordi da quella del 1948, evocata con la consueta approssimazione storica da Berlusconi, si chiude ineluttabilmente nella spazzatura. Con l´annuncio estemporaneo del premier che, se vincerà le elezioni, oltre all´imposta sulla casa, abolirà la Tarsu, acronimo che sta per tassa sui rifiuti solidi urbani. A parte il fatto che, come l´Ici, la Tarsu è una tassa locale e che solo pochi giorni fa il governo l´ha riconfermata nel decreto legislativo sulla delega ambientale, il delirio fiscale delle ultime settimane, la monomaniacale ripetitività della televendita delle tasse, ha toccato picchi tali da rischiare di ritorcersi contro chi l´ha voluta. Non sfugge ormai ai più, compresi i «non coglioni» evocati ieri da Berlusconi come i suoi elettori di riferimento, che chiunque governerà dovrà dolorosamente correre ai ripari.
Dovrà farlo, per evitare il default del paese, ipotesi serpeggiante nei report delle principali agenzie internazionali di rating.
L´operazione berlusconiana è stata abile e martellante, come si conviene alle campagne di marketing sui prodotti di largo consumo ad uso delle casalinghe. Il centrosinistra ha abboccato, cadendo nella trappola delle cifre, delle percentuali, dei decimali, in un bailamme di numeri quasi sempre demenziale, che, come era esattamente nelle intenzioni di Berlusconi e Tremonti, mirava a farne il «partito delle tasse». Un partito statalista, sacrificale, dogmatico, quasi biblico, contro il quale loro, cavalieri bianchi, invocano «agorà e mercatus», una combinazione di politica ed economia in forme flessibili, per un popolo che vota col portafoglio sul cuore.
Operazione studiata a tavolino che, per l´irrefrenabile gusto dell´eccesso berlusconiano, alla fine ha sofferto di over-iterazione, dell´eccessivo sfoggio di colpi di scena, di tecniche pubblicitarie, come il dito puntato al premier verso la telecamera quando, con il sorriso stampato a trentadue denti, annunciava l´abolizione dell´Ici, o della Tarsu, riconfermata dal suo governo soltanto qualche giorno prima.
Per buona parte degli italiani, il «calvario fiscale», vero o presunto, rappresenta quasi un elemento di identità nazionale, ma l´iterazione monomaniacale del tema in tutta la campagna elettorale e il silenzio sulle coperture e sul reale stato della finanza pubblica, si può ritorcere contro chi l´ha imposta. Fa scattare un campanello d´allarme anche nel popolo dei «non coglioni», tanto più che il «meno tasse per tutti» passato alla storia nelle elezioni del 2001 è rimasto soltanto uno slogan.
La casalinga di Voghera ignora probabilmente cosa siano le agenzie di rating, ma anche lei deve ormai percepire quello che Tremonti, uomo colto e di ottime letture, definì una volta il «colossale mefistofelico pagherò», quello che egli stesso e il premier hanno firmato in questi giorni. Un patto truffaldino che in caso di vittoria – ipotesi che evidentemente considerano improbabile – non potranno onorare, se non tagliando col machete lo Stato sociale o compiendo un miracolo di moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Esattamente ciò che in questi giorni stanno ripetendo tutte le principali agenzie di rating, a cominciare da Goldman Sachs che arriva già a consigliare di vendere i titoli di Stato italiani per acquistare quelli tedeschi, preconizzando un declassamento dell´Italia.
Chiunque vinca dovrà ridurre subito il debito che strangola la crescita, con una dolorosa manovra correttiva. Quanti soldi si dovranno trovare entro settembre per mantenere l´Italia in Europa? Come si finanzieranno i libri dei sogni elettorali? La stima più attendibile parla di 30 miliardi di euro. Una somma che, qualsiasi sia lo scenario post-elettorale, trasforma in «wishful thinking» quasi tutte le promesse ascoltate nelle ultime settimane.
Fra i tre scenari possibili da lunedì, il più preoccupante è forse il pareggio elettorale. In quel caso, il paese sarebbe ingovernabile, si dovrebbe andare ad elezioni anticipate, si perderebbero mesi preziosi ed è facile prevedere che la finanza pubblica finirebbe ulteriormente fuori controllo. Se vincesse Berlusconi, ipotesi non meno inquietante, l´unica strada per tentare di onorare il «mefistofelico pagherò» – ma assai ardua e secondo molti impossibile, viste le esperienze già fatte – sarebbe ancora la finanza creativa di Tremonti, che solo nell´ultimo trimestre ha fatto scendere l´avanzo primario allo 0,2 per cento, bruciando oltre 8 miliardi di euro. La ricetta tremontiana, mutuata in parte dall´ex ministro democristiano Giuseppe Guarino, è vendere tutti i beni pubblici: dalle spiagge ai ghiacciai, fino al palazzo del Quirinale e forse la scrivania di Quintino Sella alla quale egli siede. Non sarebbe il primo, perché già nel 1626 Vincenzo II duca di Mantova, come ha ricordato l´ex direttore generale del Tesoro Mario Sarcinelli, passò alla storia per aver svenduto all´Inghilterra una delle più preziose collezioni d´arte italiana. Una prospettiva da far tremare le vene.
Se vincerà il centrosinistra, Prodi dovrà necessariamente puntare molto sul recupero di parte dei 200 miliardi stimati di evasione fiscale. Missione non facile in tempi brevi, soprattutto di fronte alle macerie lasciate da Tremonti con la raffica senza precedenti di condoni, che tra l´altro ha demotivato tutti gli apparati di controllo e fatto crollare le somme recuperate su quelle accertate dal 3,1 allo 0,3 per cento.
Lunedì è un altro giorno, non resterà che archiviare il delirio fiscale delle ultime settimane e il disastro della finanza pubblica degli ultimi anni.
O questo paese. Se non lo faremo noi, lo farà l´Europa.


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