M. FINI: IL CASO SGARBI (CON REPLICA)

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INES TABUSSO
00venerdì 9 settembre 2005 02:04

IL GAZZETTINO

Martedì, 6 Settembre 2005
IL CASO SGARBI
LO SPORT DI SALIRE SUL CARRO DEL VINCITORE
di MASSIMO FINI

È sempre penoso, imbarazzante e quasi raccapricciante vedere un uomo che
si umilia oltre ogni limite, calpestando per intero la propria dignità, se
mai ne ha avuta una, pur di mantenere il posto al sole e i privilegi di cui
ha immeritatamente goduto. È quanto ha fatto l'onorevole Vittorio Sgarbi
con una lettera aperta al Corriere della Sera (4/9) indirizzata ai massimi
esponenti della sinistra ("Caro Prodi, caro Fassino, caro Rutelli... oggi
chiedo ospitalità a voi").

A questi leader della sinistra Sgarbi scrive: "consentitemi di non identificarmi
con Berlusconi". Ma come? Per anni costui, sulla Rete ammiraglia della Fininvest,
Canale 5, nell'ora di punta, ha condotto, per conto e in nome del suo padrone,
una devastante campagna di delegittimazione della Magistratura definendo
"assassini" i Pubblici ministeri e i giudici che applicavano le leggi dello
Stato italiano emanate dal Parlamento italiano e aggredendo come "giustizialista
e forcaiolo" chiunque osasse chiamare al rispetto della legge anche "lorsignori",
mentre non ha mai speso una parola per i poveracci impigliati nelle lentezze
della giustizia italiana.
Scrive di aver vissuto "l'orrore degli anni in cui i migliori venivano messi
alla gogna, non con le parole ma con le inchieste giudiziarie, che mortificavano,
umiliavano, cancellavano la persona".Non so se possano essere considerati
"migliori" coloro che taglieggiavano, col metodo della tangente e del "pizzo",
che è il metodo della mafia, chi voleva ottenere un appalto e che derubavano,
direttamente o indirettamente, il popolo italiano. Ma la differenza sostanziale
è che le inchieste giudiziarie sono un dovere istituzionale, le parole no.
E se c'è uno che in quegli anni ha usato la gogna mediatica contro chiunque
non la pensasse come lui, indicandolo al pubblico ludibrio, e forse peggio,
con tanto di fotografia segnaletica (wanted), costui è proprio Vittorio Sgarbi.

Adesso l'ex deputato di Forza Italia chiede ai leader della sinistra di "non
escludere la mia sensibilità per l'individuo e le sue libertà". Vittorio
Sgarbi ha avuto sensibilità per la libertà di un solo individuo: la sua.
Quest'uomo che per anni, protetto dall'immunità parlamentare e dal potere
berlusconiano, ha insultato, ingiuriato, diffamato tutti, non solo personaggi
di rilievo ma anche cittadini inermi (una professoressa, una certa Puppi,
che aveva scritto "stà" con l'accento, come si usava peraltro nell'Ottocento,
doveva essere, secondo il delicato e coprolalico linguaggio dell'onorevole,
"Cacciata dall'Università a calci nel sedere. Calci! Nel sedere! Sedere!
Calci!") arrivando alle volgarità più basse, vili, razziste (basta pensare,
ma è solo un esempio, a quanto disse di Rosy Bindi, colpevole di non essere
avvenente), una volta che a Napoli, nel febbraio del 1995, un automobilista
si permise di rivolgergli un modestissimo "Si vergogni!", radunò gli uomini
della sua scorta (pagati dallo Stato e quindi da noi contribuenti) e lo fece
inseguire a sirene spiegate per tutta la città da due macchine dei carabinieri
che, con le palette rosse regolamentari, alla fine fermarono l'incauto, lo
costrinsero a scendere dalla macchina e lo circondarono. Questa è la sensibilità
che l'onorevole Sgarbi ha per le libertà dell'individuo e per l'individuo
stesso quando non si tratta di lui. Costui, che se la dà da libertino e tuona
contro i moralisti, è lo stesso che accusa il ministro Giuliano Urbani di
avere una relazione con un'attrice.

Adesso ha la spudoratezza di fare anche la vittima. "Sono stato un disperato
e deluso alleato del centrodestra".

Dal centrodestra Sgarbi ha avuto tutto: un seggio parlamentare che mai avrebbe
conquistato con le sue forze (nei testa a testa maggioritari è stato sempre
trombato), una visibilità televisiva straordinaria e i conseguenti quattrini
onori e prebende. E ora attacca, ingenerosamente, proprio il centrodestra:
"Quell'area politica, per la sua stessa inconsistenza, oggi si è dissolta.
E il centrodestra è un non-luogo diviso fra confusione e contraddizioni.
La politica nei prossimi anni sarà tutta nel centrosinistra". Ma, guarda
caso, l'onorevole Sgarbi si è accorto che il centrodestra è "incosistente",
è "un non luogo", è zeppo di confusione e di contraddizioni solo da quando
è diventato evidente che perderà le prossime elezioni politiche. È stato
il primo topo a scappare dalla nave che affonda.Io, che negli anni Ottanta
condussi una solitaria battaglia contro la partitocrazia e che nel 1992-94,
all'epoca in cui la partitocrazia sembrava finalmente sconfitta grazie alle
inchieste della Magistratura e all'avvento della Lega, che appoggiai sull'Indipendente,
potevo starmene comodamente assiso sul carro dei vincitori, ne sono sceso.
Sgarbi, senza alcun merito, vi è invece salito e adesso pretende di saltare
su quello opposto perché, pietisce miserabilmente ai leader della sinistra,
"non vorrei fare mancare nella prossima legislatura il mio anelito".

Vittorio Sgarbi, in sè, non è un problema, non conta nulla e non vale nulla.
A cinquant'anni suonati è doveroso fare dei bilanci. Ha passato la sua vita
a seminare insulti senza costruire niente, nella sua professione, che sarebbe
quella di critico d'arte, non ha espresso nulla di significativo tranne un
conservatorismo ottuso di cui sarebbe capace anche "la mi zia". Sgarbi conta
come simbolo. Se il centrosinistra lo accetterà nelle sue file allora vorrà
dire che in politica è davvero lecito tutto e che le oligarchie politiche
sono disposte a calpestare ogni cosa, dignità, lealtà, onore e il senso stesso
della politica, in nome della propria autoconservazione. Una ragione in più
per muover loro, fuori ma anche dentro le Istituzioni repubblicane, una battaglia
senza quartiere.
Massimo Fini




Giovedì, 8 Settembre 2005
LA POLEMICA
GLI INSULTI DI MASSIMO FINI SONO SOLO FRUTTO DELL'INVIDIA
di VITTORIO SGARBI

Ma, caro direttore, allora, perfino sul suo onesto giornale non c'è un limite
alle aggressioni personali, se si consente, sotto la veste di critica politica
e di costume, e al di là dei fatti, lo sfogo degli istinti più incontrollabili,
di quello Sgarbi-mancato o Travaglio riuscito che è Massimo Fini. Non so
se a tanta rabbia lo spinga l'invidia o il vano desiderio di competizione,
ma leggo una pagina di insulti e di menzogne proprio da parte di chi mi accusa
genericamente di aver insultato, e non, invece come ho fatto, denunciato
soprusi, ingiustizie, corruzioni, abusi, di politici e magistrati, a partire
dall'ultimo che solo Fini può difendere, che ha dato finanziamenti dello
stato alla sua riconosciuta amante, che da me è stato denunciato per come
ha speso i soldi (più di nove milioni di euro) e non perché aveva una relazione
amorosa. Fini mostra di essere non diversamente da Rosi Bindi, "più bello
che intelligente", battuta vivida che è piaciuta a tutti meno che a lui,
che, nel suo delirio contro di me, difende la corruzione universitaria e
le professoresse che ottengono le cattedre grazie ai loro mariti, e alle
quali si perdonano errori di grammatica e di ortografia. Non bisogna denunciare
gli ignoranti, non si possono pronunciare invettive contro gli abusi di potere,
non si può sperare che vengano cacciati i senza merito. D'altra parte Fini
non è meglio di loro se definisce, scandalizzato, l'innocente richiesta di
"calci nel sedere" linguaggio "coprolalico". Ha fatto cattivi studi se confonde
il sedere con il suo prodotto. Brutto, grasso, piccolo, con pochi capelli,
sudaticcio (non offese ma pure connotazioni fisiche), pare naturale che Fini
mi invidi, e, anche per questo non abbia visto le mie mostre, non conosca
i quadri che ho scoperto, e quei monumenti che ho salvato o a difesa dei
quali, io, "che non conto nulla e non valgo nulla", vengo continuamente chiamato
per cercare di impedire gli orrori che i cattivi amministratori minacciano
di compiere, e che, secondo Fini, non dovrei denunciare. Mi segue, con patetica
assiduità, da innamorato deluso, ma conosce soltanto gli aneddoti, le storielle
false delle scorte che inseguono poveri cittadini innocenti, per i quali
lui prova grande comprensione, mentre non ha avuto nulla da obiettare, incapace
perfino di valutare gli esempi, alle insensate inchieste, su Giorgio Strehler,
Gianni Versace, Krizia, Ferrè, Gianni Boncompagni, Carmelo Bene, tutti indagati
purché avessero un nome per mettere in luce i loro inquisitori. E ogni volta
io ho denunciato gli abusi, la lunga diffamazione che è toccata, proprio
per la lentezza della giustizia italiana, ai noti, come Tabacci, Carnevale,
Andreotti, Franco Nobili, e agli ignoti, infiniti, che ho difesi e che Fini
dimentica, ma Franco Corbelli del Movimento Diritti Civili ricorda uno per
uno, riconoscenti perché qualcuno ha detto una parola per loro, senza parteggiare
per i giustizieri che piacciono tanto a Fini e che sbagliano, sequestrando
persone e umiliandole senza mai pagare.

Si vergogni Fini, che dice solo menzogne e scambia per privilegi la continua
azione di vigilanza che un parlamentare ha il dovere di compiere, e che io
voglio continuare a esercitare, senza padroni, come chiama Fini i proprietari
di giornali e di televisioni, e gli editori che consentono a me di esprimere
il mio pensiero, come a lui di insultarmi oggi sul Gazzettino. Per Fini,
anche Dario Fo, che pubblica con Einaudi, di proprietà di Berlusconi, ha
un padrone. E tutti gli autori che scrivono per Mondadori. Ma anche per Rizzoli,
o per Marsilio.

Magari copiando i libri di Anacleto Verrecchia. Io non ho delegittimato i
magistrati più di quanto Fo abbia delegittimato il commissario Calabresi,
o Caselli il grande magistrato Lombardini e tutti gli altri innocenti, da
Contrada al francescano padre Frititta. La magistratura si è delegittimata
con i suoi errori, dal caso Tortora in avanti, e nessun reato giustifica
la gogna. Non c'è colpa che meriti l'umiliazione denunciata da Cagliari prima
di suicidarsi. Ma a Fini non interessano Tortora, Streheler, Racinaro, Contrada,
il maresciallo Lombardo, Caneschi, i suicidi e le vittime della furia giudiziaria.
Gli piacciono i giustizieri, ne ammira incondizionatamente la violenza. Mente
per ignoranza e per fanatismo. I suoi libri sono pastoni ridicoli di banalità;
e la sua comprensione della politica è totalmente inconsistente, tanto che
scambia la mia dimessa volontà di sopravvivenza per il facile "sport di salire
sul carro del precedente vincitore! Banalità, retorica, falsità. Io sono
stato cacciato dal carro del vincitore; ma, nella sua ossessiva malattia,
Fini ha dimenticato che io mi sono opposto alla vendita del patrimonio artistico
e che ho contrastato un ministro inadeguato, oggi incriminato dai giudici
tanto amati da Fini, per l'uso disinvolto dei fondi dello Stato. Sono stato
cacciato e non ho più avuto compiti, né funzioni, per tre anni. Una sufficiente
penitenza, mi pare, per essere ammesso nell'unico spazio in cui si esercita
ora la politica, perché, con il declino di Forza Italia, la Casa delle Libertà
brucia, e nel futuro non ci sarà più un centro-destra. È quello che ho tentato
di spiegare ricordando Churchill: "Ci sono uomini che cambiano idee per il
loro partito e altri che cambiano partito per le loro idee". Quello che Fini
attribuisce a me è già accaduto nel corso degli anni con gli spostamenti
e le variazioni di posizioni di innumerevoli deputati, da Bossi, a Segni,
a La Malfa, a Dini, a Vertone, a Mastella, con diverse, comprensibili motivazioni.
Oggi non è più neppure questione di cambiare parte politica, è questione
di esserci o di sparire. Quanto al mio primo seggio parlamentare, come ovviamente
Fini dimentica, quando Berlusconi non c'era, e il sistema elettorale era
l'unico democratico, quello proporzionale, me lo sono conquistato, con le
mie sole forze in Sardegna nel 1992. E, ancora, con il proporzionale, nel
1999, il seggio al Parlamento Europeo, con più di novatamila voti di preferenza.
Consensi che mai otterrebbe Fini, anche con l'aiuto dei magistrati prepotenti
o dei baroni universitari che tanto ama. Il suo odio mi lusinga. Mi divertono
la sua cecità e la sua invidia; ma sappia che non potrò dimenticare che egli,
dopo aver invano tentato di essere mio amico, è arrivato al punto di invocare,
per il mio bene, nella sua moralistica visione, la morte di mia madre. Gli
piacciono i vendicatori: sappia che da me avrà tutto il male possibile, con
immutato disprezzo. Orgoglioso, come sono, dell'amicizia di Giorgio Streheler,
di Carmelo Bene, di Filippo Martinez, di Giulio Giorello, di Fabio Canessa,
di Barbara Alberti e di quanti altri, che tra me e lui, tra mia coerenza
e la sua presunzione, tra la forza delle mie idee e la sua impotente rabbia,
non avrebbero dubbi.
Vittorio Sgarbi

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