Orfeo 9

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ro-mario
00venerdì 13 agosto 2004 17:09
Questo lunghissimo post è colpa di Lisa, che mi ha duplicato il musical “Orfeo 9” di Tito Schipa Jr.: mi è piaciuto talmente tanto che adesso sto approfondendo…
Allora, sul sito www.titoschipa.it c’è tutto il making of del musical: se avete un paio d’ore libere, andatevelo a leggere, altrimenti accontentatevi di alcune frasi che mi fa piacere copiaincollarvi (però io sono arrivato solo al capitolo 14… su 31!)

Io non ricordo nulla di simile all'attesa - frenetica - dell'uscita di un album dei Beatles. Per quello che posso valutare, ci furono pochissimi casi, nella storia della Musica, di una vera fame del "prossimo episodio" come quella vissuta dalla mia generazione a partire dalla pubblicazione di Revolver. Era pari forse solo all'attesa del prossimo capolavoro di un Verdi o di un Puccini ai tempi d'oro dell'Opera. Si trascorrevano gli ultimi giorni prima dell'uscita del disco in uno stato di vera e propria euforia, insonnia, anticipazione. Una volta messe le mani sul vinile si partiva per un'esperienza di ascolto che era un ascolto assoluto, simile forse solo a quello che un vero critico musicale opera sui capolavori immortali. Ogni frase di quelle vere e proprie rapsodie dei nostri giorni veniva analizzata ed esplorata, alla ricerca di livelli più profondi, di significati più nascosti. Ogni battuta riconosciuta e collocata all'interno di strutture compositive di largo respiro, temi dominanti, variazioni, esattamente come accade con una sinfonia o un concerto classico. Quei testi e quelle melodie, quelle atmosfere e quegli arrangiamenti, quegli "effetti speciali" nel missaggio - una vera rivoluzione nella sceneggiatura del racconto acustico - esaltati poi dalla grande novità dell'ascolto in cuffia stereofonica, tutto diventava nel giro di pochi giorni sapere comune, proverbio dell'anima, linguaggio condiviso e punto di riferimento di un intero continente.

Beh, questo è per tutti voi, nostalgici beatlesiani (e io mi sto ripassando “Help” in questi giorni, per essere pronto alle schitarrate dolomitiche…)

A guardare indietro dopo tanti anni, la realtà costruita da Garinei e Giovannini col Teatro Sistina acquista sempre più importanza. In prospettiva la straordinarietà della scommessa - e della vincita - fatta da quei due ragazzi degli anni 40 partiti dal retrobottega di una farmacia di piazza S.Silvestro si coglie ancora meglio. Sono passati 60 anni o quasi, ed ecco ancora al suo posto, prestigiosa e inarrivabile, la più grande impresa di teatro privato stabile costruita in Italia nel dopoguerra, per di più fondata sullo spettacolo musicale, misteriosamente indigesto al pubblico italiano dalla scomparsa di Puccini in poi. Ancora più ammirevole, quindi, l'impresa romana, per il suo costante successo al botteghino.
Le polemiche sulla pretesa inguaribile borghesia del marchio G&G erano già in voga sul finire degli anni 60 e lo sarebbero state fino ad oggi, ma Angelo Jannoni ed io non avemmo nessuna esitazione su chi disturbare per proporre il progetto Porgy and Bess. Negli stessi anni la crema del futuro teatro italiano si barricava nelle cantine sulla scia di Carmelo Bene e faceva di questa ascesi una ragion d'essere. Noi invece miravamo al massimo tempio del teatro di consumo. Del resto quanto a underground avevamo già dato: il Piper Club non era una delle massime cantine d'Europa, all'epoca?
La ditta responsabile di Rugantino e di Rinaldo in Campo ci accolse nei primi mesi del 1968 con sorprendente benevolenza e con un reale interesse. L'eco del successo di Then an Alley non era passata inosservata nell'ufficio di quelli che a ogni buon conto erano i titolari dell'unico teatro in musica non operistico in Italia, e per di più famosi talent-scout. Li trovammo curiosi di noi, forse di più: intuivano qualcosa di promettente. Non si spiegherebbe altrimenti la decisione che - pur mostrando un divertito interesse per il progetto Gershwin - Pietro Garinei e Sandro Giovannini presero lì sul momento: era in programma una versione italiana del trionfo internazionale del momento. Sarei stato interessato a curarne l'allestimento al Sistina?
"Ho capito bene il titolo?" credo di aver balbettato.
"Certo" risposero i due, "Hair".
Voi non siete svenuti a leggere quest'ultima frase, ma io andai a rischio di un collasso. Angelo, dopo avermi riportato a casa in stato di coma estatico, ci mise del bello e del buono a rianimarmi. Mi risvegliai con un copione in inglese fra le mani. Era il testo originale dello spettacolo che per tutti noi in quei giorni era una specie di bibbia. Quando fu sicuro che avessi ripreso i sensi Angelo mi spiegò che avevo appena avuto l'incarico formale di andare a Londra, vedere lo spettacolo (che conoscevo solo dal disco) e tornare con un'idea di regia. Da Garinei e Giovannini! A ventidue anni! E con una seria opzione - anche! - sulla realizzazione di Porgy and Bess
Questo, invece, è per celebrare degnamente i due Andrew Lloyd-Webber italiani (che, se hanno un piccolo torto rispetto al più celebrato autore inglese, è quello di essere nati qualche decennio prima…)
A Londra comunque, arrivandoci da un Italia canzonettara e televisiva a pieno regime come era quella degli anni 60, l'impressione più violenta ti veniva dalla musica. Per ascoltare qualche raro estratto di quel mondo noi dovevamo aspettare rare stitiche trasmissioni specializzate concesse dalla Rai in orari impossibili e sottoposte a vera e propria censura continua. Al contrario appena messo piede sul suolo inglese, dal primo taxi all'ultima pensioncina di terza categoria, in ogni locale e in ogni casa, ti trovavi calato in un fluido amniotico cullante, pervasivo, fatto della miglior produzione rock del momento e irradiata via FM ventiquattr'ore su ventiquattro. E poi c'era il caleidoscopio a mille combinazioni della Swinging London, c'era un senso di prima linea assoluta nell'avventura umana del momento. E il Teatro, la festa dell'andare a teatro, l'ansia, l'anticipazione, la frenesia, simili solo a quelle di un bambino in attesa di essere portato al circo, ragione unica e vera di un botteghino sempre traboccante, di un pubblico fedele e costante, sicuro di non essere mai deluso, e quindi di un sistema produttivo in grado di fare quel che faceva e fa tuttora

Beh, tanto per far capire (anche a me stesso, of corse!) la differenza tra la cultura musicale inglese ed italiana dell’epoca…

All'origine c'era un altro rifiuto sul lavoro, musata che a subirla - lasciatevelo ricordare da chi ne ha una certa esperienza - è in tutto simile al rifiuto in campo sentimentale. Ti lascia stordito, a parlar solo nelle "strade di notte che sembrano più grandi" (grande Gaber), ti fa venire dei pensieracci, ti fa morire dalla paura. E ti salvi solo se reagisci con un gesto, con un idea, con un movimento qualsiasi che ti sottragga alla frecciata del destino bastardo. Il mio gesto si chiamò Orfeo 9 e andò così.

Insomma: se non posto un omaggio a Gaber… cos’è che posso postare?

Adesso rido, quella notte i brividi di paura mi friggevano la radice dei capelli. Ma sentivo che l'unica speranza di mantenere il Sistina era attizzare la curiosità di Garinei e Giovannini, far capire a quei volponi del richiamo a botteghino che il loro gesto generoso verso di noi non sarebbe stato ricambiato con della routine o con dell'avanguardia rifritta. In realtà di vera avanguardia, almeno nel nostro campo, si sarebbe poi trattato, ma a me non passava nemmeno per la testa: così come avevamo subito scelto di bussare alle porte del Sistina, e non ai templi della ricerca teatrale come il Beat 72, così credevamo e intendevamo che le nostre idee dovessero essere, assolutamente fossero, commerciali.
Avanti. Per prima cosa ci voleva una storia. Una qualunque.
Questo potevo risolverlo subito. Da regista (quale mi consideravo nel progetto, nient'altro) potevo anche riservarmela, questa scelta.
"Cerca di razionalizzare" ricordo che mi ripetevo, "bisogna ridurre i rischi, segui l'esempio dei grandi, cerca una favola che funzioni, almeno sul testo non ci piove"
Andò molto in fretta, quella fase. Forse cinque minuti:
"Una storia antica, a prova di bomba. Qualcosa che abbia a che fare con la musica. E che messa in musica abbia dimostrato di funzionare. Nel repertorio di mio padre, per esempio? Orfeo? Quello di Gluck. Ma anche Peri, Monteverdi, Offenbach, e di recente Orfeo Negro, grandissimo. Allora ok per le referenze. Orfeo... Aspetta un po', ma che storia è esattamente? Fammi guardare sulla Treccani"...

L'alba avanzava e io mi arrampicavo sulla scaletta e tiravo giù il volume della lettera O. Davvero andò in fretta, da un certo momento in poi. Qualcuno potrebbe invocare l'inconscio. Certo, in quel momento tutto potevo immaginare, ma proprio tutto, tranne che nel leggere quel riassunto di un antico mito, alla luce di un abat-jour, seduto allo stesso tavolino su cui avevo studiato fin dalle elementari, pallido di sonno e stress, mentre i primi uccelli cominciavano a cinguettare di fuori, un inaspettato senso di liberazione, di predestinazione avrebbe preso a riscaldarmi l'anima e a curare il mio terrore, la mia terribile solitudine di quella notte. Leggevo e mi dicevo, esattamente con l'imbambolamento stressato che state immaginando:
"Ehi, ma questo non sta accadendo per caso... Ma questa storia qui ci rappresenta tutti... Ma questo è un messaggio dal passato remoto che però parla chiaramente di tutti noi, qui ed ora... Come è possibile che io ci sia arrivato in questo modo?"
Esatto, povero Tito sconvolto dalla disperazione: in altre parole si trattava di un mito, e come tale parlava di tutti noi, certo, qui ed ora, e sempre. E come tutti i miti aveva fatto il suo mestiere anche quella mattina, si era presentato nel momento della richiesta, della necessità, del vuoto, proprio come il responso che esce da I-Ching o dalla voce della Sibilla, come il qualcosa che non ha senso se non sei privo di senso, che non vuol dire nulla se non vuoi ascoltare.

Bene. A quel punto avrei anche potuto credere di aver già fatto la metà di quel che mi spettava. Non avevo avuto l'idea? Nota dell'autore per chi possa essere interessato a questo tranquillo mestiere: l'idea non conta nulla, mai. Il cosa e il chi stanno a zero. Tutto dipende dal come. Non l'ho detto io, quindi dev'essere vero.

“Di come può nascere un qualcosa di unico…. O del fare di necessità virtù… o, anche, di come alle volte qualcuno c’ha proprio (oltre ad indubbio talento) un culo della madonna…

Confermato, dunque: a Novembre saremmo stati parte di una rassegna di teatro "nuovo e giovane" (qualunque cosa significasse) e ci sarebbe spettata una settimana. Una settimana del maggior teatro italiano. Gratis, anzi meglio, no, inaudito: con una contribuzione in denaro da parte degli stessi G& G. "Una settimana, poi si vedrà" dissero. Ma a noi bastava, oh se bastava! Non c'era un minuto da perdere. Bisognava realizzare in fretta, e per prima cosa serviva un libretto.

Niente, sempre per “raccontare” un po’ che tipi fossero Garinei e Giovannini (oddio! Garinei è ancora così… e suo fratello (anche se non c’entra nulla) è un comico di primissimo ordine)
Il gruppo è numeroso, ricchissimo. I nomi che poi ne usciranno in qualche modo vincenti (o sconfitti con gloria) sono quelli scolpiti sulla copertina dell'album Via Tagliamento, perché è dal Piper che si è originato lo sciame e perché uno dei pesci più colorati, sfarzoso nella notte, si chiama Renato Zero, e spancia d'improvviso qua e là provocando un'onda di sorpresa, sempre scortato da un pesciolino pilota sexy e scatenato che lui chiama 'a Loredà! Sono indivisibili, sono bellissimi, sono senza una lira e senza un ingaggio ma sono esattamente come li avete sempre visti. Non hanno mai cambiato - e non cambieranno mai - il loro modo di essere e di sembrare. Sono veri.

"Chi avrà il ruolo di Orfeo?"
Poi, a sorpresa, giunto a noi tramite la conoscenza coi fratelli Piccinno, si candidò nientemeno che Tomas Milian.
Era la prima volta che mi trovavo davanti a una proposta "che non si può rifiutare". Angelo Jannoni, Fabrizio Bogiankino, Enrico Lucherini, tutti si aspettavano che non mi lasciassi sfuggire un'occasione del genere, era la spinta promozionale perfetta allo spettacolo. Ma il ruolo di Orfeo non era un ruolo d'attore. e Tomas Milian non era un cantante. Non lo era proprio per niente. Per fortuna era invece un professionista di tale sensibilità che lui stesso si tirò indietro prima ancora di cominciare e mi levò dall'atroce imbarazzo in cui mi ero trovato per qualche giorno. Tomas e sua moglie restarono poi al fianco della produzione in modo discreto e gentile, dandoci tutto l'incoraggiamento possibile. Ma questo non risolveva il problema principale.

Altri due aneddoti carini, no?

L'occasione esplose a Milano, dentro la Banca Nazionale dell'Agricoltura di Piazza Fontana, il 12 Dicembre. Quei morti innocenti, sacrificati con la prima mossa di un gioco molto sporco che ancor oggi non pare voler cessare, furono lo shock che ci mise tutti in stato di veglia definitiva. Da quel momento in poi nessuno che avesse un minimo di coscienza e di raziocinio - lasciamo perdere la sensibilità - poté più far finta di non vedere o di non capire. Piuttosto si aprì per molti - e io fui uno di questi - il doppio fronte, difficile e doloroso, della militanza aperta ma anche del dissenso verso certi amici che si lasciavano trasportare dalla deriva violenta. Un dissenso, credetemi, per cui serviva altrettanto coraggio che per andare contro la polizia. Ma la violenza non aveva, almeno ai nostri occhi, nessuna giustificazione. Dirlo adesso può parere facile e forse addirittura conveniente, ma dovevate provare allora a guardare il mondo senza farvi annebbiare la vista dal sangue agli occhi. Amici conosciuti e amati fin dai giorni dei banchi di scuola cominciarono a pronunciare la parola rivoluzione con un tono e un'espressione che in un primo momento mi facevano sorridere, ma che col tempo cominciarono ad agitarmi. Le mie obiezioni fruttavano scherno e insulti. (…) "Volete fare una vera rivoluzione?" gridavo ad alcuni fra i più esasperati, "Diventate commissari di polizia!" e ne ricevevo in cambio una reazione quasi fisica.
Così persone con alcune delle quali, dall'indole dolcissima, avevamo condiviso momenti di amicizia giovanile, di confidenze profonde e di tenerezze, ora stravolti dall'orrore del terrorismo professionista e delle sue carneficine spietate si avviavano al lungo delirio rabbioso e all'impossibile vendetta che li avrebbe portati al carcere, alla latitanza perenne o in qualche caso alla morte, mutilando il Paese di intelligenze e culture con cui avrebbero potuto onorarlo invece che imbrattarlo. Ma questo non è la nazione in cui il 60 per cento dei cittadini, laureati inclusi, si affida ciecamente a maghi e fattucchiere, e molti versano loro, in cambio di amuleti e incantesimi, l'equivalente del costo di un appartamento, in ragionate e regolari rate, lamentandosi poi di essere stati truffati? Allo stesso modo cervelli di prim'ordine, sensibilità nobilissime, persone disgustate dalla volgarità e dalla violenza, si lasciarono convincere che i problemi della classe lavoratrice si potessero e dovessero risolvere sparando a giornalisti e a professori universitari.

Ne abbiamo già parlato da qualche parte, vero, di questo argomento?

altri legarono la loro faccia e la loro personalità assurda al momento passeggero, per poi dissolversi nel nulla.
Uno per tutti. Si faceva passare per produttore, arrivava sempre a bordo di limousine diverse, vestiva come un gangster, cappello a tesa larga e grandi foulard colorati, ma era affetto da nanismo acuto. Questo non gli impediva, dall'alto del suo metro e trenta, di giurarci che ci avrebbe comprati, mantenuti, esportati, arricchiti - e intanto guardava il sedere più vicino con le lacrime agli occhi. Che fine avrà fatto? Era extracomunitario, sudamericano credo, e la sua ricchezza stava tutta tra la sua fantasia e la sua fame. Fame vera: prima che sparisse scoprimmo quanto fosse un povero diavolo. Per inscenare quella farsa si era svenato fino a doversi, dopo aver affittato invano l'ultima limousine, autoespellere dal Paese. E sotto la nostra risata c'era la crudeltà infinita della nostra gioventù e della nostra bellezza.

‘stà storia m’ha messo addosso una pena incredibile…
intanto, ecco come nasce il titolo “Orfeo 9”

I Beatles, nel loro album bianco, avevano buttato lì distrattamente una gran bella lezione per tutti i freak della musica colta d'avanguardia, dimostrando come con una sequenza in puro stile da "musica concreta", rumori, effetti elettronici, sovrapposizioni di materiale acustico il più disparato, si potesse incantare anche il pubblico commerciale. Avevano chiamato il pezzo Revolution Number Nine. Scelsi il nostro titolo in omaggio alla loro infinita genialità.

ANDRO CECOVINI. Una velocissima, raffinatissima chitarra "fingerpicking" (rapidi arpeggi da ballata country), buon cantante e autore di canzoni. Figlio di un famoso sindaco di Trieste.

Questo qui è uno che fa parte del cast… adesso fa il miniaturista, credo: l’ho postato solo per qb…
Ed ecco alcune considerazioni a mio parere molto interessanti sulla musica e sul mercato musicale:

Io ho voluto creare un melodramma italiano popolare. Molti a sentirmelo dire hanno sorriso (sorridono anche adesso) e mi hanno ricordato che frasi del genere potevano avere un senso quando Wagner, nell'Ottocento, parlava di creare un'opera tedesca, ma lì eravamo nel dominio del sublime, cose da musicisti veri, insuperati e insuperabili. Giusto. Noi siamo dei rocchettari, e per di più siamo in Italia, che è come dire essere dei calciatori in Lapponia, stesse tradizioni, stessa esperienza, stesse chance

ma noi italiani ora le canzoni non ce le abbiamo proprio più! Tutto quello che si sente alla radio sono "cover", ossia rifacimenti di pezzi angloamericani lasciati cialtronescamente passare per nostri, e la gente se la beve!, mentre la canzone d'autore è relegata a forza in un ghetto snobistico e noioso. Sui pochi autori validi - Tenco, De Andrè - l'industria discografica ha già cominciato a giocare i suoi biechi trucchetti "modernizzanti" riuscendo in qualche caso a ferirne profondamente la personalità (ma perché nessuno ne parla?), in ogni caso non è nemmeno questo che si intende per canzone nel mondo, in questi giorni, quindi non vi ho attinto granché nel comporre la cosa che stiamo faticosamente montando. (…) Chi volete che in quei giorni, nell'industria, facesse caso ai veri prodigi di composizione che da anni giravano il mondo travestiti da canzoni, non importa il genere, metti Ne Me Quitte Pas, metti L'Amour et la Guèrre, metti Ebb Tide, metti Good Vibrations, metti Penny Lane, Strawberry Fields, Eleanor Rigby, l'intero Sergeant Pepper? Prodigi di composizione, pur nella assoluta popolarità.
Strawinsky (Strawinsky!) difendendo il nostro Verdi dai soliti vecchi nuovisti diceva:
"Scrivete voi La Donna è Mobile, poi ne riparliamo."

E di nuovo si parla di Gaber…

"Eccoti alla fine", canterà Orfeo quando ormai i giochi saranno fatti, il sortilegio sarà compiuto, la trappola sarà scattata. Per esprimere in parole quel senso di solitudine davanti all'assoluto, di nudità davanti alla solitudine, forse ho ripensato ancora alla notte del 4 Agosto 1963 all'Elba, ancora alla disperazione senza possibile guarigione per la fine del mio amore dei 16 anni, o forse ancora alle strade di notte di Giorgio Gaber.

E, per finire, vi piazzo l’ultimo (per ora… posso continuare per un bel pezzo) ritratto di G&G (che non sono, avreste dovuto capirlo, Giorgio & Gaber…)
Garinei e Giovannini assistettero a una delle nostre ultime prove e con la loro esperienza e sensibilità antiche dovettero intuire quel che di buono c'era nello spettacolo. Pietro Garinei venne verso di me e interferì per la prima volta da quando eravamo arrivati. Mi disse (disse proprio così, sono parole che ti restano a risuonare in testa per una vita):
"E' bello, questo vostro Orfeo", e sembrava aspettare una risposta.
Avrei dovuto dire (non c'è proprio dubbio che avrei dovuto):
"Grazie, adesso dateci una mano. Senza di voi siamo come un guscio di noce nell'uragano".
Invece tirai dritto per la mia strada solitaria, convinto, come tutti i privilegiati, di meritare il mio privilegio. Non dico di aver sbagliato. Ho semplicemente seguito il mio destino. Ma in quel momento, mentre mi riavviavo per il corridoio in penombra della platea del Sistina, e mentre Garinei in silenzio mi guardava andar via, stavo compiendo una svolta decisiva della mia vita. In quale direzione, allora era presto per dirlo.
Forse lo è ancora adesso.
ro-mario
00venerdì 13 agosto 2004 17:54
seconda parte
altri stralci (solo due, stavolta!)...

"Drammaturgia" è una parola che torna spesso nei miei sproloqui. Accade quando tento di spiegare perché lo Schipa Jr. regista e operista pop abbia dedicato alcuni lunghi anni al mondo della canzone d'autore. Dal mio amore per il melodramma (le più belle favole in musica mai raccontate), alla grande ballata celtica, alla West Coast americana, un solo filo preciso lega la mia passionaccia ai diversi generi, ed è la storia che un brano musicale, sia pur breve, può raccontare. Ma difficilmente nelle canzoni italiane la troverete, una storia. In La canzone di Marinella di De Andrè è nettissimo il taglio del racconto, come nella maggior parte delle sue cose, ma prendete il 99 % del repertorio sanremese o cantautoriale e continuerete a sentir solo ripetere quanto uno ama un'altra (prima strofa), quanto uno continua ad amare l'altra (seconda strofa); poi si passa a specificare che lui la ama proprio davvero (inciso) e si conclude con tutta una nuova messe di descrizioni di quanto lui la ami proprio (ultima strofa e coda). Stop. L'alternativa più frequente è, se mai, al posto dell'amore per lei l'amore per se stesso (possibile titolo emblematico Non Posso Vivere Senza di Me). Durata massima consentita: tre minuti ("se no la radio non la trasmette"). Io invece avevo una canzone con un racconto, la canzone e il racconto duravano la bellezza di quattro minuti e cinquanta, e c'era pura il finale a sorpresa. Ci voleva un signor arrangiamento, e una testa diversa dalla mia con cui confrontarmi.

queste cose quà, invece... non lo so perché, ma non ce lo vedo proprio, qb, a farle:

Gli ultimi minuti prima di entrare in sala li passai accoccolato su una panca dell'ingresso nella posizione del loto. La cosa, dati i tempi, non faceva impressione più di tanto. Casomai ero io che non riuscivo proprio a rilassarmi come avrei voluto. Durante una passatina al bagno avevo notato una macchinetta che distribuiva intrugli a gettone. Ero o non ero un "artista" (come generosamente ti chiamano subito manager, discografici e imbonitori)? Allora un po' di sregolatezza ci stava bene. Interruppi la macrobiotica che strettissimamente seguivo ormai di molti mesi e mi servii una sbobbetta intitolata "bevanda al cioccolato". Ebbi la sensazione - purificato com'ero dalla dieta giapponese - di ingoiare una mestolata di zabaione rancido misto a schiuma da barba e fondi di caffè, ma mi ricordava il Piper, dove un'altra macchinetta gemella mi aveva mantenuto alla stessa mammella elettronica durante le prove di Then an Alley. Portava fortuna? Non avevo niente da perdere, salvo il fegato. Così ora ero drogato, come conviene a ogni musicista estremo. Potevo entrare in studio.
ro-mario
00sabato 14 agosto 2004 14:58
ah, beh! io continuo....
e senza commenti, stavolta, che mi sembrano abbastanza inutili...

Il culmine della farsa (o la vogliamo chiamare opera buffa?) lo si toccò negli uffici romani di un'etichetta che non ricordo, dove l'interlocutore di turno era uno dei fratelli Reverberi, non so più se Gianfranco o Giampiero. Stiamo parlando, badate, di nomi prestigiosi della discografia d'assalto di quei tempi, nomi legati anche ad alcune fra le più belle avventure della canzone d'autore, De Andrè compreso.
A un certo punto del mio solito sfiancante monologo, tra una cantata e un'altra, mi sento dire:
"Lei si deve rendere conto che al momento non è possibile in Italia investire grosse cifre in un disco dove compaia la parola costellazioni. La maggior parte del pubblico non la capirebbe".
Sono quelle frasi che ti si scolpiscono nella memoria. Credo di avere anche sognato spesso quel momento, come un piccolo incubo ricorrente. Non so se mi sentii più offeso come autore o come spettatore. Quella era l'idea che si aveva del pubblico italiano, di voi, di me. Idea non dissimile da quella della Rai di Ettore Bernabei, con cui avrei avuto a che fare in un prossimo futuro. Niente alibi: non si stava parlando delle larghe fasce di sottosviluppati, o illetterati, o socialmente emarginati. A quelli, semplicemente, di vendergli i dischi non veniva a in mente a nessuno in ogni caso! No, visto che il target eravamo noi, i piccolo-medio borghesi, era proprio di noi che stavano parlando.

Io non so - nessuno può sapere - cosa sia successo una certa notte in una maledetta camera di Sanremo dopo la serata di chiusura del festival. Ma non mi è mai sembrato un caso (come anni dopo per Piero Ciampi) che l'autodistruzione di un artista scatti al momento in cui il suo prodotto viene fortemente snaturato, condizionato, imbastardito. Orietta Berti vinse con Io tu e le rose, una sana solida canzone italiana nel più pasciuto stile festivaliero. La si poteva anche odiare ma non la si poteva dire in malafede. Luigi Tenco perse il festival - e col festival la sua preziosissima vita - cantando la più brutta, incomprensibile, debole delle sue canzoni, contorto tentativo di truccare da ballata ruspante un debole scimmiottamento di certa essenzialità tipiche delle song-poem americane. Potrà sempre alzarsi qualche autorevole esegeta a sbugiardarmi, giurando che Tenco credeva ciecamente in quel giretto armonico. Io resterò convinto che molti consiglieri abbiano la coscienza piuttosto sporca.
Una cosa triste e grottesca fra le tante, poi (come ci dicevamo ridendo e piangendo insieme davanti a un bicchiere consolatorio di troppo nei tristissimi giorni successivi), fu che Io tu e le rose, malgrado la nostra istintiva avversione politica verso un prodotto di quel tipo, malgrado i tentativi di schizzare su di lei del fango appartenente altrove, era proprio un gran bella canzone.

E continuerò a credere che - come già dicevano i grandi riformatori del teatro musicale nel Settecento - che "la Musica debba essere schiava, e non padrona dell'Orazione". In altre parole le esigenze musicali non possono essere la scusa per svilire e castrare il testo di una canzone, che dovrebbe sempre venire prima. Per difendere questo principio e non farsi contaminare autori nobilissimi (a caso: Herbert Pagani, Claudio Lolli, Claudio Rocchi, Enzo Maolucci, Ernesto Bassignano, Roberta D'Angelo, Pierangelo Bertoli, Jenny Sorrenti, Stormy Six, Osanna, Giovanna Marini e altre legioni di gran signori) mica si sono sparati; semplicemente hanno continuato la loro battaglia da cavalieri solitari, senza pennacchi e senza bandiera. Altri ce l'hanno pure fatta, all'interno delle strutture, spesso alla faccia dei loro stessi padroni, e a loro tanto di cappello.
ro-mario
00sabato 14 agosto 2004 17:31
del primo Renato Zero...
Il fatto è che pur dopo mesi, o anni, passati a elaborare, dettagliare, perfezionare un prodotto, io lo ascolto una volta e poi non ci riesco più. Da quel momento tutto quello che percepirò in eventuali riascolti saranno i difetti. Tanti. Così non riesco più a prendere contatto con le cose che ho fatto, e tantomeno proporle agli altri. L'opposto di Renato Zero, che ai primi tempi del suo successo passava praticamente 24 ore al giorno col walkman in testa, riascoltando se stesso all'infinito. Forse serve a qualcosa.
ro-mario
00sabato 14 agosto 2004 17:38
su sfiga e fortuna...
Entra in studio con me per la prima volta anche il mio portafortuna. E' un charranguito, un chitarrino a corde doppie, simile al mandolino, ricavato dal guscio di un armadillo, dono prima di uno stregone indio a Giorgio Albertazzi, poi di Albertazzi a me.
Qualche anno dopo sto registrando in Rai a Torino e un funzionario mi chiede cos'è. Quando sa che è un talismano diventa di tutti i colori. E' chiaramente uno jella-freak. Lo vuole a qualsiasi costo per qualche ora. Glie lo presto.
Il giorno dopo lo incontro, torvo in viso.
"Com'è andata?"
"Mi si è fermata la macchina in autostrada, in mezzo alla nebbia. Per cinque minuti è rimasta come morta, poi è ripartita, il tutto senza alcuna ragione apparente. Sei sicuro che quest'affare non porti una sfiga nera?"
(Quest'affare?!)
"E tu sei sicuro che se non ti bloccavi lì non andavi sotto un camion un chilometro più avanti?"
Impallidisce. Mi offre un milione. Non glie lo do.
Tra parentesi non credo né alla sfiga né alla jella. Mi affeziono agli oggetti, questo sì"

[Modificato da ro-mario 14/08/2004 18.04]

ro-mario
00lunedì 16 agosto 2004 11:20
praticamente alla fine...
Anni 70. Se c'è un emblema, per me, di quel decennio di sacre orge, è la lasciva sonorità degli alberghi di ogni tipo e categoria, che la notte si trasformavano in alveari dell'amore. Coi primi anni 80 e con lo scatenarsi dell'orribile pestilenza tutto finì di colpo. Ma il canto delle fanciulle in amore, a centinaia e sfrontate in ogni angolo del buio, mi resta nel ricordo ed è la colonna sonora di quegli anni luminosi, il sound di un momento in cui l'eros fu davvero, dovunque e comunque, sempre al primo posto.

LOREDANA BERTÈ, terza narratrice, era per me al momento solo la pura conseguenza dell'ingaggio di RENATO ZERO. Separarli mi sembrava inconcepibile. E poi ne conoscevo la musicalità, l'energia, la professionalità perfetta. Ma dico la verità: su Renato avevo forti sospetti che lo avremmo visto salire molto in alto, per Loredana non mi sfiorò mai l'idea. Sbagliavo forte.

ro-mario
00lunedì 16 agosto 2004 14:42
altri stralci... và!
Ora tutti noi sul piazzale siamo impegnatissimi a mettere in pratica un'idea che ci è balenata qualche settimana fa e che (qui sta la differenza fra noi e molte altre persone) pur potendo sembrare solo un gioco ci ha catturati completamente, anima e corpo. Ecco il progetto detto in meno parole possibili e non invano (ormai lo sai che non cambio mai discorso, no?): parrà una caccia al tesoro, ma sarà proprio tutta un'altra roba. Tre di noi, truccati e vestiti come personaggi dell'epopea spaghetti western (un ladro di cavalli, un baro e un disertore dell'esercito confederato) saranno in fuga per la città, rigorosamente a piedi. I concorrenti iscritti alla gara percorreranno il centro di Roma in gruppi di tre per automobile, tentando di catturarci. Se ci riusciranno dovranno portarci, ora obbligatoriamente a piedi anche loro, fin dentro l'ufficio dello sceriffo alla periferia della città, dove potranno incassare la taglia/premio.
Ci sono gustose complicazioni: oltre ai tre fuggitivi gireranno per l'Urbe dieci "mistificatori", travestiti più o meno come loro. Avranno il compito di distrarre i cacciatori e attirarli in direzioni sbagliate.
Non basta. Al Pincio avrà il suo accampamento un nutrito gruppo di indiani. Daranno la caccia ai cacciatori, e il concorrente catturato dai pellerossa pagherà pegno stando fermo mezz'ora al campo della tribù, dove verrà sottoposto a festose imbarazzanti torture.
Tutto questo molto fisicamente, senza limiti di sorta, e nel centro di una città nel pieno ritmo di vita. La polizia, i vigili, nessuno ne sa niente. Non c'è uno straccio di autorizzazione, eppure importanti compagnie petrolifere, fabbriche di motociclette e compagnie aeree ci hanno creduto subito e hanno sponsorizzato la gara fornendo le taglie sui ricercati: buoni carburante gratuiti, ultimi modelli di scooter, viaggi all'estero.


Credo di aver vissuto la mia generazione - già fortunata come poche, forse come nessuna - in modo fortunato a mia volta. Ho visto cose importanti e ho avuto il privilegio di capirle. Ho incontrato la bellezza e gli artisti che la creavano, e Dio mi ha dato il dono di saperla apprezzare. A mia volta ho avuto il supremo onore di essere stato accettato nella congregazione e di poter a mia volta far felice qualcuno con le cose che ho scritto.
Ho solo tradito un regola fra le più classiche della mia gente:
Vivi in fretta, muori giovane.
Sono sfuggito a questa che mi è sempre suonata come una paura eccessiva delle disillusioni.
"Se sono illusioni, che cadano è un bene" disse qualcuno candidamente. Sono assolutamente d'accordo.

Il disco di Orfeo 9 prosegue nel suo buon andamento, le vendite non si fermano. Siamo però in attesa di recensioni sulla stampa. Misteriosamente tardano. Poi un giornale specializzato pubblica la sua paginetta. E' a firma di Mario Luzzatto Fegiz, che inizia in quei giorni una carriera da numero uno nella critica musicale italiana. Non devo leggere molte righe per capire che si tratta di una stroncatura. La frase che mi resta impressa è il suo consiglio, rivolto direttamente a me, di "tornare a studiare musica". Il disco viene considerato prevedibile, scopiazzato e fiacco.
Voci non so quanto fondate mi riporteranno, per molto tempo dopo, la continua vanteria di Fegiz sul suo essere in grado di stroncare senza appello una carriera, sul suo non avere mai ripensamenti, e sul fatto che io ne costituivo l'esempio migliore. Sarà vero? Vero è comunque che dopo quell'articolo non vedrò più sui principali giornali italiani uno straccio di recensione discografica che si occupi di Orfeo 9. Solo trafiletti frettolosi.

(approposito di MLF, vorrei ricordare come mi stia abbastanza sulle balle –è il mario che parla, adesso, non il TitoSchipaJr.- e come, durante il Festival del Teatro Canzone non sia mai stato fermo un attimo. Il dramma è che era seduto proprio di fronte a me, iniziava ad accendere il suo computer portatile, poi si stravaccava sulla sedia per cinque minuti, poi si alzava ed andava di corsa dall’altra parte della platea, poi tornava con due amici, dopo cinque minuti si rialzava di nuovo, poi tornava… e, durante il secondo tempo, quando Iacchetti l’ha chiamato abbiamo scoperto che alla fine si era seduto in una delle prime file… irritante! Inoltre, mi racconta Lisa che, ad un concerto di Joe Jackson (ma non vorrei sbagliarmi…) il buon MLF si è fermato per le prime tre canzoni, poi se ne è andato a casa a scrivere il pezzo: nel frattempo Jackson aveva stravolto la scaletta ed il giorno dopo, sul corriere, c’era un articolo su un concerto completamente diverso da quello che si era effettivamente svolto…).
Ah! Ho finito!!! (ma potrebbero esserci sviluppi MOLTO interessanti)
riffit
00lunedì 16 agosto 2004 15:54
e gia'....
e poi dice che lavora mah.....
ro-mario
00lunedì 16 agosto 2004 16:26
cavolo!
certo che lavoro!!! lavoro per voi!!![SM=g27837]
eccomunque... c'ho due aziende da portare avanti, più un negozio che organizza anche incontri, proiezioni, tornei ed, in un futuro non molto lontano, probabilmente anche mostre... nel tempo libero do qualche consiglio per la gestione dell'albergo, scrivo sull'Eco di Bergamo e un altro paio di cavolate che adesso non mi vengono in mente... [SM=g27826] certo che lavoro!!! (ecco, magari m'impegno poco su alcune cose[SM=g27819] ....)
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